Il rito sociale del cibo da strada

 



In ogni epoca, come nell’antica Roma, così nel Medioevo e infine oggi le classi popolari urbane passano gran parte della giornata per strada e anche chi è chiuso in ufficio, la pausa pranzo viene vissuta il più delle volte all’aria aperta.

Ed è all’aria aperta dove le classi sociali urbane consumavano e consumano i loro pasti comprando prodotti in botteghe o da venditori ambulanti.

Con lo sviluppo dell’industrializzazione e l’entrata di ogni componente familiare nel mondo del lavoro extrafamiliare, il cittadino urbano è aumentato, e il fenomeno del cibarsi per strada aumentato.

Classiche sono le immagini ottocentesche degli scugnizzi napoletani che mangiavano con le mani per strada maccheroni o pizza, pasta o fritti (dolci e salati), frutta o verdura.

Frutti di mare crudi pugliesi, olive all'ascolana marchigiane, piadina romagnola, focacce liguri, gnocchi fritti emiliani, castagnacci toscani, porchetta romana, pani ca' meusa  (pane e milza) palermitano, crepes piemontesi, pizza fritta napoletana e pizza a portafoglio,  continuando fino al “O pere e 'o musso”, ecc. ecc.

Questi sono solo alcuni degli esempi di grande tradizione del cibo da strada italiano.

A Firenze ancor oggi i panini imbottiti di lampredotto (una delle quattro sezioni dello stomaco dei bovini, l'abomaso) vengono venduti per strada.

A Palermo polpo bollito, stigghiole (budella di capretto, agnello o vitello alla brace), sfincione, sono alimenti caratteristici offerti nei quartieri popolari o nei mercati della città.

A Cagliari mangiare ricci di mare è un vero e proprio rito, soprattutto maschile, e un po’ ovunque fioriscono chioschi all’aperto dove gustarli in piedi.

In Sicilia e Sardegna i fichidindia sono cibo di strada sin dal Settecento.

A Trieste, delle bivalve molto apprezzate erano i mussoli. Venduti nelle bancherelle agli angoli meno ventosi della città, erano messi in grandi pentoloni a schiudersi sopra a un fornello. Venivano serviti bollenti in ciotole, ed il loro calore era per le mani una pace dell’anima alle fredde folate della bora invernale.

Gli esempi potrebbero continuare toccando un po’ tutte le regioni della penisola, e in specie le città dell’Italia meridionale.

La cucina di strada viola apertamente molte delle regole “di casa”. Il consumo è al tempo stesso un fatto privato (spesso ci si ciba da soli, contrariamente a quando si va al ristorante o al bar, accompagnati da amici o parenti), e un evento pubblico, perché avviene per strada o in locali aperti agli sguardi di tutti, quindi legato alla collettività.

Si è da soli e insieme agli altri nello stesso tempo, e ciò crea un’atmosfera di complicità tra avventori, per cui sovente si scambiano due parole, una battuta, perché la situazione induce un senso di confidenza non comune.

La cucina di strada è insomma un’arte della comunicazione o arte di coinvolgimento e rientra nell’atteggiamento enogastronomico quotidiano con uno stile alimentare teso alla riscoperta di vivande genuine e di una condotta di vita più sana.

Questo è in contrapposizione al fast food: la contrapposizione tra la realtà italiana e il finto sogno americano.

Certo la contrasto ci ha portato a commettere degli errori di forma, e per avversare il fast food (a prescindere dalla catena imprenditoriale che lo propone), abbiamo utilizzato l’inglesismo “street food” quale sinonimo snob di “cibo da strada” e “slow food”, quale sinonimo di alimenti genuini e finalizzati ad un’alimentazione sana.

Noi, generazione di boomer, siamo stati introdotti al cibo da strada dalle nostre mamme, quando da ragazzini la merenda pomeridiana era un panino o un pezzo di pane, reso morbido alla bocca da un filo d’olio e cosparso di pomodori schiacciati che mangiavano rigorosamente mentre eravamo intenti a tirare un calcio al pallone o a fare altri giochi di comunità all’aria aperta. Certo, anche allora c’era il compagno di giochi che si presentava con il panino imbottito di salame ma che condivideva sempre con noi per poter avere in cambio un morso del nostro squisito pane e pomodoro.  

Questo rito nel tempo ha permesso di creare una “comunità” fondendo le identità sociali che hanno formato poi un’identità collettiva e questa fusione, sebbene contrastata dalla barbaria dei fast food, sta durando nel tempo.


Pizza a portafoglio
Pizza a portafoglio




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